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Donne e Diritti:una lotta che va oltre l’otto marzo.

 

Cosa rappresenta la Giornata Internazionale delle donne?

Parità di genere: molto e stato fatto e tanto resta ancora da fare. Auguri e mimose possono ridurre questa giornata ad una comune festa convenzionale, eppure non è così. L’otto marzo si ricordano i diritti e le conquiste sociali ottenuti dalle donne e quelli ancora da ottenere. È una data simbolica e significativa perché evidenzia quanto le donne abbiano dovuto lottare per rivendicare i propri diritti e quanto ancora debbano continuare a farlo per raggiungere la parità di genere.

Come ci ricorda l’UE: la parità di genere è un valore fondamentale. L’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea spiega infatti che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza […]” , in particolare l’articolo 3 afferma che l’Ue promuove “[…] la parità tra donne e uomini […]”. La Carta dei diritti fondamentali rafforza quanto detto, l’articolo 23 parla espressamente di “Parità tra uomini e donne”, si legge “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.

Anche il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea dedica ampio spazio a questa tematica di rilevanza fondamentale a testimonianza dell’impegno assunto dall’Ue nei confronti della donna. L’articolo 8, infatti, affida all’Unione il dovere di promuovere la parità tra uomini e donne in tutte le sue attività; l’articolo 19 prevede l’adozione di provvedimenti per combattere tutte le forme di discriminazione, incluse quelle fondate sul sesso; l’articolo 153 consente all’UE di intervenire nell’ambito della parità di trattamento nei settori dell’impiego e dell’occupazione.

Una lotta lunga oltre un secolo; la celebrazione della giornata della donna ha origine proprio nel secolo scorso, in particolare, il 23 febbraio 1909. Alla fine del 1908 il Partito socialista americano, infatti, decise di dedicare l’ultima domenica di febbraio all’organizzazione di una manifestazione per il voto alle donne. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente la data dell’8 marzo come giornata dedicata alla donna nel 1975 – Anno Internazionale della Donna.

Tanto è stato fatto e soprattutto molto resta da fare. Ancora, le statistiche ci dicono che è la donna ad occuparsi dei figli in misura maggiore rispetto all’uomo. Secondo Eurostat, infatti, il 7,7% delle donne nell’UE tra i 25 e i 49 anni vive sola con i propri figli rispetto all’1,1% dei padri. E in particolare, il 92% delle donne tra i 25 e i 49 anni, si prende regolarmente cura di un bambino rispetto al 68% degli uomini. Questo scenario è più evidente tra i paesi mediterranei : in Grecia, l’85% delle donne si occupa della casa, rispetto a solo il 15% degli uomini, e anche in Italia dove svolgono lavori domestici l’80 % delle donne e il 20% degli uomini. Si osserva, inoltre, che in media solo il 33% delle donne nell’UE è in grado di detenere una posizione dirigenziale. Anche in politica, vediamo una maggioranza di uomini rispetto alle donne. Secondo le ultime stime del 2017, la percentuale di donne presenti al Parlamento europeo è del 35% mentre il dato scende al 29% se si considerano i parlamenti nazionali.
Solo 10 tra capi di stato o di governo su 58 sono donne nell’Unione europea e in Norvegia. Inoltre, solo otto dei 27 commissari europei sono donne.
Infine, in media, le donne dell’UE guadagnano il 16,3% in meno delle loro controparti maschili confrontando le retribuzioni orarie lorde.

In vista della Giornata internazionale della donna la Commissione Ue ha emesso recentemente un’ampia dichiarazione “[…] Dobbiamo essere d’esempio: al febbraio 2018 il numero delle donne che occupavano ruoli dirigenziali nella Commissione europea ha raggiunto il 36% rispetto all’11% al momento del nostro insediamento, nel novembre 2014. Il presidente Juncker si è impegnato a raggiungere il 40% entro il 31 ottobre 2019, al termine del nostro mandato”. “In tutti gli aspetti di tutte le nostre politiche, sia all’interno dell’Ue che nell’azione esterna, siamo inoltre coerenti nel promuovere la parità di genere e l’emancipazione femminile. La nostra politica contribuisce all’attuazione globale efficace degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’agenda sulle donne, la pace e la sicurezza[…]”.

Si è espresso in merito anche il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, il quale ha ribadito la necessità per l’Unione di continuare a battersi per la parità di genere.

L’impegno dell’Unione a favore delle donne è testimoniato anche da una recente pubblicazione: “Impegno strategico a favore della parità di genere: 2016 – 2019” ad opera del Commissario europeo per la giustizia, i consumatori e la parità di genere. Tale progetto, con l’obiettivo di orientare le azioni future dell’Unione europea, presenta “oltre trenta azioni chiave da mettere in atto in cinque settori prioritari, i rispettivi termini e gli indicatori di monitoraggio” e mira ad “integrare una prospettiva di parità di genere in tutte le politiche dell’UE e nei suoi programmi di finanziamento.”

L’impegno delle Istituzioni deve essere accompagnato dall’impegno di ognuno di noi, dobbiamo contribuire ad eliminare gli inutili stereotipi che ancora sopravvivono e infettano la nostra società. Nonostante tutto, purtroppo, la donna è ancora considerata il sesso debole, e come ci riportano le statistiche non riesce a ricoprire ruoli apicali nel mondo del lavoro. La donna, infatti, fatica ad ottenere credibilità a causa dei molti luoghi comuni che attanagliano la nostra società: la donna ha successo grazie al suo bel visino, l’uomo ha successo perchè in gamba…. la donna sposata, inoltre ha meno probabilità di essere assunta rispetto ad una donna single a causa della convinzione che la prima sia più incline ad avere figli rispetto alla donna nubile. Ancor più discriminata è poi la donna sposata con figli rispetto al suo collega nella stessa condizione sempre perché si è convinti che una mamma sia più genitore di un padre e quindi meno disposta a sacrificare la vita familiare a vantaggio di quella lavorativa. Queste considerazioni sembrano appartenere ad un’era ormai lontana, eppure ancora oggi vigono indenni nella nostra società e sta a noi cambiare il nostro modo di pensare, fare la differenza eliminando pregiudizi privi di senso alcuno e contribuire ad una rivoluzione culturale in grado di definire una società migliore. Il sesso debole non esiste, e men che meno l’angelo del focolare domestico. Esiste una cosa molto semplice: il rispetto. Punto. Non è un discorso FEMMINISTA, ma è un discorso UMANO.

Tanto è stato fatto e molto resta ancora da fare: l’otto marzo serve a ricordarlo.

Ricerca sociologica Dall’Ucraina all’Italia: un viaggio per cambiare vita

Ada* è una bellissima donna, capelli dorati, occhi azzurri, sguardo deciso e con l’atteggiamento tipico di chi è sicuro di sé, ho avuto il piacere di intervistarla ed in queste poche righe condivido con voi la sua storia…

*nome di fantasia

Ringrazio la gentilissima Ada che mi ha concesso l’onore di farle alcune domande riguardanti la sua esperienza personale. Quest’ intervista nasce principalmente in ambito universitario con lo scopo di analizzare la società nella sua dimensione multiculturale. L’intervista è stata effettuata utilizzando delle immagini in grado di richiamare gli ambienti familiari del soggetto osservato al fine di analizzarne le reazioni così da poter ottenere un risultato quanto più autentico.

La ricerca mira ad evidenziare come l’identità di un individuo possa essere influenzata dalla società circostante; nello specifico come le diverse culture delineando tale società possano forgiare l’identità stessa dell’individuo. L’ informatore Ada, mediante la propria esperienza personale testimonia l’ evento culturale: si ha l’ incontro di due diverse culture, quella italiana e quella ucraina. La terra natale dell’ informatore è l’ Ucraina, terra dalle molte sfaccettature, caratterizzata da un trascorso storico – politico traumatico. L’ informatore dà vita al progetto migratorio mediante il quale avviene l’ incontro interculturale. L’ Italia è la meta scelta, terra dalle molte contraddizioni. Trattasi di culture per certi versi lontane tra loro, il cui dialogo non sempre avviene in modo fluido e scorrevole.

 

***

 

Terracina, novembre 2014

Sono veramente entusiasta di intervistare Ada, meravigliosa come poche, quella bellezza aspra tipica delle donne dell’est. Mi reco nel suo posto di lavoro, un negozio di abbigliamento nel pieno centro di Terracina, piccola città del litorale laziale dove vive attualmente, e le sottopongo la mia “allettante” proposta: voler rilasciare una breve intervista sul suo vissuto, sulla propria terra natia nonché quella adottiva Superati i convenevoli le chiedo la sua disponibilità a parlarmi un po’ della sua “vita privata”. Inizialmente percepisco il suo “voler tutelare” la propria privacy, quasi si trattasse di un qualcosa di custodito in una scatola ermetica, in un cassetto con mille lucchetti, che avrebbe richiesto parecchia fatica aprirli, capisco, che tutto ciò ha un prezzo, per addolcire il tutto, le propongo di fare “la chiacchierata” davanti a una bella cioccolata calda con tanto di biscotti, ovviamente non poteva rifiutare. Il patto è chiaro, fissiamo l’ incontro e il gioco è fatto.

 

 

Eccoci qui, è un piovoso giovedì di Novembre, l’ appuntamento è alle 17, 30 a Bar Roma, situato al centro della cittadina, facilmente accessibile per lei che ama spostarsi a piedi. Arrivo puntuale, controllo se sia già arrivata, mi addentro nel bar tra quei inebrianti odori di dolciumi tipici dei Bar artigianali. Mi affretto ad occupare un buon tavolo, so che è un bar molto frequentato, non voglio dover urlare durante il colloquio per potermi far sentire, individuo quello più in disparte e ne prendo possesso. Subito dopo arriva Ada, procediamo ad ordinare, preparo carta e penna e posiziono il mio registratore sul tavolino. Tutto è ponto, non mi resta che premere play!

 

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Prima Immagine: Cartina Ucraina

Ada: (Osserva la cartina e indica un punto preciso) Questa è Leopoli, è la città più importante tra quelle vicine al mio paese. Ricordo che quando ero bambina, circa 20 anni fa, nel mio piccolo paese ancora non c’era il Circo e per vederlo mia madre mi portava qui, in questa grande città, ed era una bellissima esperienza, divertente, il circo ricordo era enorme.

Io: Parlami del tuo viaggio dall’Ucraina e del tuo arrivo in Italia…

Ada: Sono arrivata in Italia il 16 dicembre del 2001, ho deciso di partire dall’Ucraina per necessità economiche, avevo bisogno di lavoro, in Ucraina non c’era e avevo sentito di molti miei coetanei che erano riusciti a trovarlo qui in Italia

Sono arrivata in Italia in pullman, ho fatto 36 ore di viaggio, un giorno e mezzo praticamente. È stato un viaggio estenuante ma non potevo permettermi l’aereo… si tratta di sacrifici che la vita impone. Ricordo che al mio arrivo ero molto spaventata, non conoscevo in assoluto il posto e tanto meno la lingua. Fortunatamente ho trovato subito lavoro, grazie ad una mia amica trasferitasi qualche anno prima anche lei in zona. Il 16 dicembre sono arrivata e il 21 dicembre ho fatto il mio primo giorno di lavoro come badante presso una famiglia, tuttavia non conoscendo la lingua, mi sono sentita persa e volevo andarmene!

 

“mi sono sentita persa e volevo andarmene!”

 

Sono passata da un tipo di vita in Ucraina in cui avevo molto tempo libero a questa dove con questo lavoro non avevo neanche un po’ di riposo, lavoravo 24 ore su 24. Era come una galera e mi sentivo sola Poi pian piano sono riuscita ad ambientarmi. La comunicazione è stata fondamentale, imparare l’italiano è stato importante, io non avevo mai studiato prima questa lingua, poi parlando e facendo pratica ho cominciato ad apprenderla 

Io: Cosa ti è mancato di più dell’ Ucraina?

Ada: Mia figlia … Ma ho deciso di intraprendere questo viaggio proprio per lei … Come ho detto, lì non c’era lavoro e avevo bisogno di soldi per crescere mia figlia ma non volevo chiederli alla mia famiglia. Volevo essere indipendente ed essere di esempio a mia figlia, anche se ciò significava dovermi separare da lei per un po’. Volevo essere coraggiosa per lei e per me, dimostrare a me stessa che potevo farcela e oggi posso dire di avercela fatta: sono riuscita a farmi strada qui e soprattutto ho realizzato il mio obiettivo, ricongiungermi con mia figlia e oggi vive qui con me a Terracina

Io: Quale strategia hai usato per integrarti in questa nuova comunità sociale?

Ada: Il lavoro, ho cercato sempre di darmi da fare e lavorando ho imparato la lingua che è la prima barriera che ho trovato, ci sono stati anche momenti difficili in cui sono stata senza lavoro … io ho fatto prima la badante, poi la cameriera e ora lavoro come commessa in un negozio di abbigliamento e devo dire che per me è un grande traguardo poter svolgere questo lavoro, è il lavoro che mi piace di più, molte immigrate come me vorrebbero fare questo lavoro ma non riescono a trovarlo e fanno tutte le badanti. Ho tirato avanti a tutti i costi perché tornare a casa sarebbe stata una sconfitta, ed ora mi sento pienamente integrata in questa comunità.

 

“tornare a casa sarebbe stata una sconfitta”

 

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L’ intervista procede come una vera e propria chiacchierata, ADA, mi appare molto tranquilla durante le sue esposizioni, anche fin troppo, la cioccolata è riuscita ad addolcirla così tanto?

Ogni cosa che dice suscita in me mille curiosità, intanto, le domande preimpostate sono andate a farsi benedire, ho stravolto tutto, ho improvvisato cercando di seguire la sua linea di pensiero per lasciarle la libertà più pura nell’ esporre, i miei interrogativi aumentato così tanto che li dimentico, e poi ho paura di interromperla, non voglio che perda il filo del discorso.

Più parla e più mi rendo conto che quella chiusura iniziale era la chiara testimonianza di tutti i “sacrifici” fatti, si vede che tutto ciò ha contribuito alla creazione di una scorsa, una scorsa dura, difficile da rompere; ecco quella chiusura che ho visto, ma al tempo stesso la consapevolezza di aver superato (a testa alta aggiungerei) tutti gli ostacoli la porta ed essere fiera ed orgogliosa di sé stessa E’ tranquilla e disponibile mentre mi racconta del suo viaggio estenuante per arrivare in Italia, dei suoi lavori, delle sue difficoltà, non si risparmia e questo mi fa capire, inoltre, che la sua fierezza di “avercela fatta” non era mai stata divulgata si è tenuta tutto dentro, le sofferenze come le gioie, il mio interesse verso la sua “storia” seppur semplicemente a scopo didattico le dà la possibilità di esprimersi, possibilità che non sempre ha avuto per un motivo o per un altro.

 

***

 

Io: Cosa rappresenta per te l’Italia?

Ada: La sopravvivenza … qui riesco a fare una vita dignitosa, e soprattutto faccio star bene mia figlia … mi piace molto stare qui …

Io: Se fosse stato l’inverso cioè se un italiano fosse andato in Ucraina? Come si sarebbe trovato?

Ada: Si sarebbe trovato male… Gli italiani non sono abituati a fare i sacrifici come lo siamo noi, voi non ve ne andate mai via di casa, noi cresciamo in modo diverso, a 17 anni si va via di casa, si lavora e ci si costruisce una famiglia. Io mi sono sposata a 17 anni e a 18 anni sono diventata mamma

Io: Sei ancora sposata?

Ada: No, non lo sono più e chi me lo fa fare? (risata)

Io: Te ne sei pentita?

Ada: No pentita no, perché è stata una cosa bellissima che in quel momento sentivo di voler fare ma che poi è finita semplicemente.

Io: Com’ è il matrimonio in Ucraina?

Ada: È diverso da qui, perché in Ucraina il matrimonio finisce in un giorno.

Io: La separazione intendi? Parli delle procedure legali?

Ada: Sì, sì lì non è come qua che per divorziare devi aspettare un sacco di tempo e devi fare un sacco di pratiche, in Ucraina una volta deciso è fatto!

Io: Invece riguardo alla festa?

Ada: No quella è uguale, è un momento bellissimo perché si sta insieme con tutta la famiglia, si ride, si scherza, si mangia tanto, come qui … Le feste in Ucraina sono molto importanti in generale… C’è un forte senso patriottico, per esempio, ricordo che dovevamo conoscere bene tutto ciò che riguardava il paese fin da bambini, dovevamo imparare obbligatoriamente l’ inno nazionale e ci interrogavano continuamente per verificare se lo conoscevamo bene, quando c’era ancora l’ Unione Sovietica ci obbligavano ad impararlo in entrambe le lingue russo e ucraino e lo si doveva cantare il 1° settembre,  perché è il primo giorno di scuola, è un giorno molto importante in Ucraina, i ragazzi vanno tutti vestiti eleganti, le ragazze devono vestirsi di bianco, è una giornata molto sentita … poi si va a mangiare tutti insieme …

Io: Come vivi invece qui queste ricorrenze?

Ada: In generale anche qui c’ è questo senso dello stare insieme, infatti mi sono trovata bene, alle feste come Natale, Capodanno e Pasqua si sta tutti insieme si mangia, si beve, si gioca, si ride, si scherza … Come in Ucraina … Il modo in cui sono cresciuta rispecchia molto il tipo di vita italiana, il fatto di festeggiare tutte le ricorrenze e di fare i regali a tutte le persone care …

Io: Cosa rappresenta per te la famiglia?

Ada: Per me la famiglia è importante. Io ho sempre creduto nella famiglia ed è per questo che mi sono sposata proprio perché ci credevo, mi sono sposata in abito bianco, abbiamo fatto una grande festa, più o meno come qui, solo che lì si tende a festeggiare maggiormente in casa e non nei locali, secondo me è molto più impegnativo fare la festa in casa che al ristorante, perché prepariamo tutto noi in famiglia, si riuniscono tutte le donne per preparativi, si invitano tutti i vicini, io abitavo in una palazzina di tre piani e ho invitato tutti! Si sta tutti insieme, si ride, si scherza, si festeggia tutta la notte!

Io ho molto rispetto per la famiglia, chiamavo sempre per sentire mia madre, nutrivo per lei sia amore che rispetto, per esempio io non mi sono mai fatta vedere da lei mentre fumavo, no come qui, qui non c’è questo senso di timore e rispetto, cerco infatti di trasmettere a mia famiglia i giusti valori, in questo sono rimasta ucraina perché qui non mi piace come si vive la cosa, io sono per l’ unione della famiglia e per il rispetto, cose che mi hanno trasmesso da quando ero piccola e cose che qui non ritrovo …

Io: Che tipo era tua madre? Come era il vostro rapporto?

Ada: Mia madre era un tipo molto all’ antica, la rispettavo molto, mi ha insegnato i valori più importanti, i sani principi, dovevo rispettare delle regole, era importante comportarsi bene e io mi impegnavo nel farlo rispettando i suoi insegnamenti,  anche da mia figlia pretendo rispetto, come io ho rispettato mia madre lo stesso voglio da mia figlia, ma voglio anche un rapporto di amicizia con lei, la invito a confidarsi con me, a dirmi sempre tutto, sicuramente il fatto che io me ne sia andata via di casa da giovane ha contribuito a rendere la mia mentalità più aperta in questo senso.

Io: Tuo padre invece che tipo è? Lo hai conosciuto?

Ada: Sì più o meno, i miei hanno divorziato quando io ero ancora piccola, avevo sei anni, io sono cresciuta con la famiglia di mia madre, non ho mai avuto confidenza con lui … Lui poi si era rifatto una nuova famiglia, quindi, io facevo la vita mia e lui la sua.

Io: Ti confidavi con la tua famiglia?

Ada: No, per me mia madre era un capofamiglia, la padrona di casa, non avevo questo tipo di rapporto, poi erano pure altri tempi, mia madre a suo modo si fidava di noi … Cerco però di non fare la stessa cosa con mia figlia, anche perché ora è diverso c’è più libertà, per questo voglio un rapporto più aperto con lei.

Seconda immagine: Chiesa (foto di giorno)

Ada: Noi siamo di religione ortodossa, è molto simile a quella cattolica secondo me … Questa chiesa mi fa venire in mente un sacco di ricordi da bambina, i giochi in piazza … Lì andiamo in chiesa perché ci crediamo e ci piace, non come qui, vedo che le suore obbligano i bambini ad andare per forza in chiesa altrimenti gli dicono che non potranno ricevere i sacramenti, lì se nono potevamo andare, perché per esempio c’era la neve o per altri motivi non andavamo e nessuno ci diceva nulla …

Terza immagine: Chiesa (foto di sera)

Ada: Questa è la chiesa centrale e qui è dove ho battezzato mia figlia, mi ricorda pure la Pasqua, che lì è più sentita che qui, in particolare, facciamo dei cesti con cibi di casa, il sabato santo, di sera si va in chiesa con questi cesti e si fanno benedire dal prete dopo la messa, e poi la domenica di Pasqua si mangiano quei cibi benedetti, è molto bello, ci si mette di tutto, formaggi, salami, uova, il pane per poi fare il pranzo di Pasqua tutti insieme, per noi è come il Natale, infatti, i negozi sono tutti chiusi, invece qui a Pasqua e Pasquetta i negozi sono aperti … da noi le feste religiose si sentono di più … Però mi sono adattata, mi metto l’ anima in pace, so che devo andare a lavorare anche se è Pasqua o Pasquetta e vado a lavorare … Noi le festeggiamo tutte le feste religiose, oltre al Natale, infatti, festeggiamo anche il battesimo di Gesù che nel nostro calendario cade il 19 di gennaio, è una festa molto particolare, si va al fiume che dato il tanto freddo è ghiacciato, il prete taglia una croce in questa lastra di ghiaccio, si celebra la messa, si preleva un po’ dell’ acqua del fiume nella parte dove è stata tagliata la croce e si usa per benedire, dopo si torna a casa e si benedicono tutti i familiari, a casa mia in particolare, ci benediva mia madre in quanto capofamiglia, e poi si mangiava tutti insieme.

Io: Tua madre era un vero capofamiglia …

Ada: Sì e prima di lei lo faceva mia nonna …

Io: Ti manca l’Ucraina?

Ada: Ora non più… All’inizio volevo andarmene da qui, ma quando ho cominciato ad imparare la lingua, ho cominciato a guadagnare e a comprarmi più o meno quello che mi serviva, ho iniziato a stare bene e a me basta questo.

 

 

***

 

Mi sconvolge la facilità con cui mi confessa di non mancarle la sua terra natia La propria “mamma” terra sembra essere solo quella che l’ha cresciuta e sfamata in un modo o nell’ altro senza troppi legami carnali.

Percepisco una sorta di materialità nelle sue parole, parole fredde senza coinvolgimenti troppo profondi, questo mi lascerà molto perplessa…

 

***

 

Io: Cosa rappresenta per te l’Ucraina?

Ada: La miseria … (silenzio) Io volevo cambiare la mia vita … Se avessi avuto il lavoro in Ucraina sarei rimasta lì. Quando c’ era il regime sovietico si viveva bene in Ucraina… Nonostante vivessi in un regime stavo bene …

 

“Nonostante vivessi in un regime stavo bene”

 

Semplicemente perché eravamo tutti uguali, a scuola andavamo tutti con le stesse scarpe, con lo stesso abbigliamento, eravamo tutti allo stesso livello, non come ora, che mia figlia mi dice: << mamma ma la mia amica ha le “Blauer” … e io perché no?  mamma ma lei si veste “Moncler” … >> Con la dittatura eravamo tutti uguali, mangiavamo tutti le stesse cose, ricordo che a mia madre davano i buoni pasto e noi andavamo a fare la spesa con questi bigliettini, poi la spesa veniva direttamente detratta dallo stipendio di mia madre … stavamo tutti meglio perché mangiavano tutti, non come adesso che c’ è chi mangia e chi no … io non capisco nulla di politica ma penso che siamo tutti uguali e dobbiamo essere trattati allo stesso modo, se si deve pagare devono farlo tutti, se non si deve pagare non paga nessuno, adesso c’è la crisi e tutti devono pagare per la crisi.

Io: Riguardo ai diritti?

Ada: Noi non avevamo diritti … però potevamo mangiare …  non potevamo parlare, però non ci morivamo di fame … i diritti non ti danno da mangiare … e qui è la stessa cosa, tu hai il diritto di parola ma in realtà nessuno ti ascolta, al popolo nessuno lo ascolta …  Appena c’è stata l’indipendenza dell’Ucraina abbiamo festeggiato, ma poi l’allegria è cominciata a scemare, non c’era da mangiare, non c’ era lavoro, perché era grande Russia che ci dava lavoro, con lo scioglimento tutte le industrie del paese, che erano russe, sono state chiuse lasciandoci senza lavoro.

Io: Cosa ricordi del grande disastro di Chernobyl?

Ada: Non ricordo molto al riguardo, ero piccola … so che è successo il 26 Aprile del 1986, era il compleanno di mia madre, ma a noi lo Stato non ci ha fatto sapere subito cosa era successo, sono passati anni prima che il governo ci facesse sapere realmente le cose come erano andate, la reale gravità della cosa … invece, secondo me dovevamo sapere fin da subito cosa era successo così da poter reagire, da poterci proteggere, noi avevamo anche un piccolo orto, avremmo evitato di mangiare la frutta, la verdura … poi non so di quanto eravamo distanti da Chernobyl …

Io: Dal tuo paese ho visto che dista circa 624 km …

Ada: Beh sono tanti …

Io: Considerando la grandezza dell’esplosione le radiazioni potrebbero esserci arrivate …

Ada: Sì infatti penso che un po’ siano arrivate … Io ho capito come i fatti siano realmente andati e la loro gravità solo qui in Italia, tramite una trasmissione televisiva in occasione del ventesimo anno dall’ accaduto … Sapevamo che tante cose con il comunismo erano ben nascoste …  Ricordo che quando è successo, molti ragazzi anche del mio paese sono dovuti andare lì ad aiutare le persone, per farle evacuare, perché era obbligatorio per i ragazzi al compimento dei 18 anni andare a fare il soldato per due anni e essendo successo quel problema a Chernobyl li hanno mandati lì. Nessuno sapeva realmente la gravità della cosa, perché fino alla caduta del comunismo non si sapeva bene cosa era successo davvero, infatti molti di questi ragazzi tornavano con tumori, malattie di ogni tipo, perdite di capelli, ed erano ragazzi giovani di appena 18 anni … E solo dopo si è capito il reale motivo … Ricordo che tutti avevano paura di avere figli maschi perché si sapeva che al compimento del 18° anno d’età i figli avrebbero dovuto arruolarsi nei corpi militari comunisti e nessuno sapeva dove potevano mandarli … Ci dicevano solo che loro dovevano “servire la Patria” …

Io: Pensi che il disastro di Chernobyl possa aver provocato la morte dei tuoi familiari?

Ada: Non credo… Può darsi… Ma essendo stata la cosa ben nascosta non potrò mai saperlo veramente … Mio zio è morto circa tre anni dopo l’accaduto per problemi di cuore e mia madre invece è morta quattro anni fa per un ictus …

Io: Quando tua madre è morta eri accanto a lei?

Ada: No purtroppo …

Io: Come ti sei sentita?

Ada: Abbandonata …  Avevo 27 anni ma avevo ancora bisogno della sua presenza, anche solo per sentirla … Anche mia figlia aveva bisogno di lei, con la sua morte non aveva più nessuno con cui stare e l’ho fatta venire in Italia da me …

Io: E il padre?

Ada: No, il padre si è rifatto una nuova vita, non l’avrei proprio lasciata con lui. Avevo, comunque, intenzione di farla venire in Italia, aspettavo solo che fosse abbastanza grande da capire e renderle la cosa meno traumatica …

Io: La morte dei tuoi familiari ha rappresentato una chiusura con il tuo paese di origine?

Ada: Sì assolutamente, non mi lega più niente al mio paese, i miei familiari non ci sono più e i miei amici li ho persi di vista, ognuno si è fatto la sua vita e molti sono emigrati come me, e poi andare lì sapendo che mia madre non c’è più sarebbe per me una sofferenza … Ormai la mia vita è qui, la mia famiglia è qui con mia figlia …

 

“non mi lega più niente al mio paese”

 

Io: Ti senti più italiana o ucraina?

Ada: Non saprei, penso siano due cose diverse, direi entrambe le cose, qua mi trovo bene e a mio agio come se fosse casa mia non mi manca nulla dell’Ucraina … Forse un po’ la cucina (risata) … Però anche qui faccio qualche piatto tipico ucraino e poi ho anche imparato ad apprezzare la cucina italiana, ci sono tante cose che mi piacciono.

Io: Cosa ti desideri per il futuro?

Ada: Voglio rimanere qui …

Io: Temi questa crisi economica?

Ada: Sì tantissimo perché se rischiate voi immagina io …

Io: Perché?

Ada: Perché se licenziano voi figurati a me … io ogni volta devo rinnovare il permesso di soggiorno perché l’Ucraina non fa parte dell’Unione Europea, quindi ogni volta devo fare tutte le procedure ed è il lavoro che serve …

Io: Ti senti più a rischio?

Ada: Sì perché senza lavoro non ti rinnovano il permesso di soggiorno …

Io: La senti quindi la differenza tra te e un italiano?

Ada: Sì, da questo punto di vista sì … e poi io se non lavoro resto senza soldi … nessuno potrebbe aiutarmi …

Io: In questo caso torneresti in Ucraina?

Ada: Forse… Ma non voglio perché dopo 11 anni sono cambiate tante cose non mi sentirei più a casa mia, lì non ho più nessuno, molti sono emigrati come me, lì non c’è più nessuno che conosco … Io ormai ho cambiato vita

Io: Vorresti maggiore interesse da parte dello Stato Italiano?

Ada: Sì mi piacerebbe, io pago tutte le tasse come gli italiani, ho la residenza ma non la cittadinanza, anche se averla non mi cambierebbe la vita più di tanto ma solo almeno per non dover più rinnovare il permesso di soggiorno … E sentirmi quindi meno precaria …

Io: Se potessi tornare indietro sceglieresti di nuovo di emigrare?

Ada: Sì, sì.

Io: Cosa ti piace di più dell’Italia?

Ada: Terracina, qui sto troppo bene, c’ è sempre il sole, fa caldo, mi piacciono le persone, i cibi locali …

Io: Cosa non ti piace?

Ada: Questa crisi … Prima si stava meglio, almeno fino a 4, 5 anni fa, ora è aumentato tutto e lo stipendio è rimasto sempre lo stesso, io pago tutte le tasse come gli italiani e non so neanche se arriverò a 70 anni per la pensione, in Ucraina a 50, 55 anni si va in pensione, no come qui, che devi lavorare fino a quando non ce la fai più … E chi mi prende a lavorare a 70 anni? (risata)   

 

***

 

Il tempo corre più dei miei pensieri, il registratore segna 1 ora e 10 minuti di conversazione, le tazze ormai vuote e dei biscotti non c’ è più traccia se non qualche briciola, tutto segnala la conclusione dell’interazione. Il cellulare di Ada, le ricorda i suoi imminenti impegni mediante gli incessanti squilli che distolgono progressivamente la sua attenzione dalle sue parole. Mi annuncia con estrema gentilezza che i suoi doveri la reclamano, la nostra “chiacchierata”, così, tra ringraziamenti reciproci e convenevoli vari, volge al termine.

 

 

Breve analisi

 

Ada ha dato vita al progetto migratorio, soprattutto, per necessità, come avviene nella maggior parte dei casi, le notevoli difficoltà incontrate per ottenere una vita soddisfacente rappresentano i maggiori fattori di spinta. Inoltre, si evidenziano due caratteristiche interessanti, peculiari del viaggiatore pronto a superare i “propri” confini geografici e culturali, “l’adattamento”, e la “tendenza a sperimentare il nuovo”, questi, insieme alle difficoltà economiche rendono effettivo il progetto migratorio. L’ adattamento e la tendenza a sperimentare il nuovo fanno sì che l’individuo si apra alla cultura ospitante, favorendo l’interculturalità.

Si evidenziano due punti cardine nell’ interazione sociologica:

 

  • Assenza di fiducia verso le autorità – rassegnazione – privazione dei propri diritti;
  • Abbandono dell’identità d’ origine.

A caratterizzare una determinata cultura influiscono innumerevoli fattori che vanno poi a definire l’identità dell’individuo. Il primo punto evidenziato è proprio uno degli elementi chiave nella definizione dell’identità dell’informatore e che andrà a caratterizzare successivamente il suo modo di interagire con la cultura ospitante. Emerge la totale rassegnazione dell’intervistata verso le autorità politiche, segno del suo vissuto nell’ assenza di diritti, in un ambiente dominato dal timore, dove sono ben specificati i ruoli sociali, il ruolo del popolo e il ruolo di chi governa L’ omertà diffusa, imposta in quest’ ambiente politico, ha allontanato ogni tipo di rivendicazioni in materia di diritti, compensandoli con una forte stratificazione sociale ugualitaria Il tutto qualifica l’essenza fortemente pragmatica dell’informatore che rifletterà, inevitabilmente, il suo modello d’ integrazione. La strategia d’ integrazione messa in atto da Ada è il “lavoro”, proprio a testimonianza del suo vivo pragmatismo. Il lavoro ha rappresentato per lei l’inserimento nella società italiana, inoltre, la sua inclinazione al sacrificio le ha permesso di affrontare le sfide tipiche di un lavoro nuovo unite alle più dure difficoltà che caratterizzano l’incontro con una cultura “sconosciuta”.

Si osserva come i diritti non assumano un peso rilevante per Ada, al contrario, la sopravvivenza e il benessere materiale, risultano essere le preoccupazioni principali, sintomo del suo stesso percorso di vita, ed è per questo che il lavoro nella sua interazione interculturale rappresenta lo strumento vincente, infatti, il lavoro è ciò che consente agli individui di soddisfare le proprie necessità e i propri bisogni immediati. L’informatore, inoltre, pone l’accento sull’ eguaglianza, che in un certo qual modo, sentiva sotto il comunismo e che è venuta progressivamente a mancare in seguito alla sua caduta e riconosce nella cultura italiana la medesima mancanza Si tratta di un importante diritto ma anche in questo caso viene posto da Ada sempre in chiave “materialista”, dunque, uguaglianza nel reperimento di beni materiali. L’ assuefazione alla mancanza di diritti si evince anche in relazione all’ evento di Chernobyl, Ada, ammette con estrema naturalezza come il tutto sia stato occultato, e mostra la consapevolezza che molto altro veniva nascosto al popolo. Si è trattato di uno degli eventi più catastrofici mai verificatosi, ed il più grave in campo nucleare, il quale ha provocato gravi conseguenze all’ ambiente, alla fauna e alla flora, nonché alla specie umana con morti e malattie. Ada, dichiara che solo una volta arrivata in Italia, grazie ad una trasmissione televisiva si sia resa conto di come le cose siano andate realmente e ciò non suscita in lei particolare meraviglia, la sua concretezza è sempre più evidente, ciò che è stato non può essere mutato, pertanto è inutile rimuginare. Minimo si presenta il fastidio al riguardo, riconoscendo che l’ignoranza dell’accaduto non ha permesso loro di correre ai ripari. Si evince la rassegnazione verso i fatti, verso l’agire politico, tanto da non cogliere la connessione tra il catastrofico evento e le tragiche morti dei suoi familiari. Il tutto scaturisce in una costante oppressione del proprio io, l’inesorabile accettazione degli eventi, rende la propria passività manifesta impedendole la creazione di una propria coscienza politica e sociale. Si mettono in luce altre caratteristiche, quali, un forte spirito di adattamento sostenuto dal forte spirito di sacrificio e il pragmatismo nelle proprie interazioni, ed in particolare, nelle proprie interazioni con la nuova cultura

Il secondo punto sottopone all’ attenzione un tema tanto ampio quanto complesso. L’abbandono dell’identità d’ origine rappresenta la morte di una parte di sé stessi. Il luogo di nascita e di crescita caratterizzano e formano l’essere dell’individuo, non riconoscendoli più come propri non si riconosce una parte di sé.

L’ informatore non presenta legami con la patria natale ma si evince come ciò sia mutato nel tempo in relazione agli eventi familiari. Tale distacco è la conseguenza intrinseca del suo percorso di vita e nello specifico del suo modo di relazionarsi con la famiglia ed in particolar modo con la madre, figura cardine nella formazione di un individuo.

La famiglia, nel caso esaminato, viene vissuta come un valore importante, ma soprattutto emerge fortemente un profondo senso del dovere, rispetto e distacco. Si rileva come Ada, non abbia avuto un rapporto confidenziale con la famiglia, elemento principale affinché si crei un vero collante emotivo, al contrario, i rapporti familiari sono gestiti da tutta una serie di regole che sanciscono ordine e rispetto favorendone il distacco.

La madre rappresenta la figura chiave, il rapporto madre – figlia si presenta caratterizzato soprattutto in una distinzione dei ruoli, la figura materna è il “capo famiglia” e come tale va rispettata ed il rispetto puro esige una certa freddezza Non vi è stata la creazione di una vera e propria unione sentimentale, ciò, ne ha reso facile l’allontanamento con il successivo formarsi di una nuova identità. Tale rapporto, tuttavia, rappresenta per l’informatore, un senso d’ appartenenza, la madre non è simbolo di affetto ma è una guida ed un punto di riferimento, che via via nella vita le ha indicato regole, principi, le strade giuste da intraprendere, insegnandole fatica e perseveranza Si evince, pertanto, come nella freddezza del rapporto emerga la più completa deferenza La morte della madre ha significato l’improvvisa mancanza di questa guida, di questo punto di riferimento, ha segnato l’ “abbandono”, sancendo definitivamente la cesura con l’ origine. Si comprende pertanto il suo rifiuto della terra natia, terra che oramai non ha più nulla da offrirle.

Il ruolo del padre, tuttavia, non è da sottovalutare in questo processo sociologico. Si tratta di un padre assente, ed ancora una volta, si rileva la totale accettazione del fatto da parte di Ada. Il modello familiare assume un’importanza non marginale nel processo formativo dell’individuo, nel caso oggetto di studio, si osserva come il modello familiare adottato, sia un modello non classico ma una forma di matriarcato, dove via via i capofamiglia sono gli esponenti femminili più anziani della famiglia. Il non aver beneficiato dell’amore paterno rappresenta per l’intervistata una mancanza emotiva di rilievo e la successiva accettazione del fatto, viene indotta proprio dal capo famiglia in carica trasmettendo ad Ada, la non necessità di una figura maschile, portandola ad occultare questo bisogno. Ciò si riflette nell’ età adulta, in cui, Ada, ancora una volta accetta il proprio divorzio con naturalezza, mostrando la netta convinzione della non necessità di una figura maschile, nonché paterna per la sua prole.

La famiglia rappresenta il simbolo dell’appartenenza di Ada alla sua terra natia, venendo essa a mancare il legame si spezza inevitabilmente. Il legame, come si è osservato, è precario, in quanto non caratterizzato da carica emotiva e sentimentale ma da un profondo rispetto e una sentita devozione. Tuttavia, quest’ ultime sono state per Ada, le uniche manifestazioni di affetto che abbia conosciuto, caratterizzando la sua identità, e rappresentando il simbolo dell’appartenenza Le conseguenze di questo rifiuto sono dannose per il suo essere e per il suo relazionarsi nel mondo, in quanto, si cela dentro di sé l’identità omessa La “madre patria” non rappresenta più l’appartenenza e l’origine, pertanto, l’intervistata si presenta priva di tali elementi cardine dell’identità, quest’ ultima è sospesa, sprovvista di solidi legami. Ella riconosce una nuova appartenenza, quella al luogo di destinazione, seppur in modo effimero, infatti, tale appartenenza non è totale ed è dettata proprio dal suo rifiuto dell’identità d’ origine. L’ informatore ha costruito una nuova identità creando una nuova appartenenza, ciò è stato facilitato prima dal precario legame emotivo che legava Ada alla propria famiglia, e successivamente, dalla scomparsa dei propri cari, in particolare, in seguito alla morte della madre e della nonna, rappresentando il distacco definitivo.

Il luogo d’ origine ha assunto nell’ immaginario dell’intervistata una connotazione negativa, rammentandole inesorabilmente la scomparsa dei propri cari. Simbolicamente tale luogo rappresenta, per Ada, la miseria a testimonianza del suo difficile vissuto, ed al contrario l’Italia assume per lei i significati simbolici della sopravvivenza e dello star bene, dimostrazioni di ciò che è riuscita ad ottenere come la serenità economica

Affinché un individuo possa considerarsi tale, necessita di una propria salda identità, la quale, viene a formarsi in seguito ai molteplici accadimenti che caratterizzano la vita del soggetto. Il rapporto con la terra natale è importante, in quanto, parte del trascorso di un individuo, venendo a mancare, si perde parte di sé stessi con inevitabili conseguenze nella propria visione dell’io e degli altri e influenzando le proprie interazioni.

La cultura ucraina si caratterizza per essere influenzata sia dalla cultura europea e sia da quella russa, quest’ ultima ha lasciato impronte notevoli nella storia di questo paese. Si tratta di una cultura profondamente legata alle tradizioni del passato, si rileva come sia molto importante celebrare tutte le feste religiose secondo delle modalità precise, ed altrettanta preminenza rivestono le feste di ordine politico volte a mantenere vivo il senso patriottico, soprattutto, sotto il dominio sovietico.  Il comunismo ha rappresentato per questo paese, non una semplice corrente politica ma, una vera e propria identità politica nonché sociale. L’ austerità che questo produceva ha forgiato l’essere dei suoi cittadini, abituandoli all’ omertà pur di ottenere la sopravvivenza

Molta della tipica cultura dell’Europa meridionale la si ritrova nel contesto Italico. La cultura italiana non si presenta univoca ma molteplice, come molteplici sono le micro realtà che via via si sono formate al suo interno, differenze notevoli, tra nord e sud e tra est e ovest del paese. Questo rappresenta uno dei tanti ostacoli che si incontrano nell’ imbattersi in questa cultura, infatti, non la si comprende mai fino in fondo, non la si conosce mai realmente, se non la si esplora totalmente. Si tratta di una società che tende a chiudersi verso le altre culture, non vi è ancora la consapevolezza dei benefici scaturenti dall’ interculturalità, e questo lo si evince dalle scelte politiche, a livello macro, ma anche a livello micro, nei rapporti tra le persone in cui si rilevano non poche discriminazioni.

Si evidenzia come nonostante si viva nell’ era della globalizzazione i paesi possano apparire ancora così lontani tra loro, mettendo in luce complicanze di rilievo nell’ incontro interculturale.

L’ interculturalità presenta molteplici lati oscuri proprio nel suo mettere a dura prova l’identità dell’individuo, il quale, può omettere la propria identità d’ origine, come nel caso esaminato, oppure, riuscire a mantenere le due culture vive dentro di sé in un’unica identità, dando vita ad un ibridismo.

Il dialogo tra le due culture protagoniste del caso oggetto di studio pone in rilievo le difficoltà che possono aversi; l’aprirsi ad una cultura “altra” non è mai facile per l’individuo, essere complesso e contraddittorio di per sé e molti sono i fattori influenti.

Ogni cultura presenta le proprie peculiarità e caratteristiche che vanno a riflettersi sull’ identità del singolo individuo suscitando in lui un senso d’ appartenenza, nonché, la formazione dell’identità stessa

L’ interculturalità si propone come una fonte di ricchezza, in quanto, mediante l’incontro di diverse culture, si soddisfa la propria brama di conoscenze, bisogno primario e inconscio dell’individuo, si forgia il proprio io, e infine, si arricchisce il proprio bagaglio culturale e di vita.

 

 

D’Aquanno Sara